Movimenti

  • I limoni
    Ascoltami, i poeti laureati
    si muovono soltanto fra le piante
    dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
    Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
    fossi dove in pozzanghere
    mezzo seccate agguantano i ragazzi
    qualche sparuta anguilla:
    le viuzze che seguono i ciglioni,
    discendono tra i ciuffi delle canne
    e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
    Meglio se le gazzarre degli uccelli
    si spengono inghiottite dall’azzurro:
    più chiaro si ascolta il susurro
    dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
    e i sensi di quest’odore
    che non sa staccarsi da terra
    e piove in petto una dolcezza inquieta.
    Qui delle divertite passioni
    per miracolo tace la guerra,
    qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
    ed è l’odore dei limoni.
    Vedi, in questi silenzi in cui le cose
    s’abbandonano e sembrano vicine
    a tradire il loro ultimo segreto,
    talora ci si aspetta
    di scoprire uno sbaglio di Natura,
    il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
    il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
    nel mezzo di una verità.
    Lo sguardo fruga d’intorno;
    la mente indaga accorda disunisce
    nel profumo che dilaga
    quando il giorno più languisce.
    Sono ,i silenzi in cui si vede
    in ogni ombra umana che si allontana
    qualche disturbata Divinità.
    Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
    nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
    soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
    La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
    il tedio dell’inverno sulle case,
    la luce si fa avara – amara l’anima.
    Quando un giorno da un malchiuso portone
    tra gli alberi di una corte
    ci si mostrano i gialli dei limoni;
    e il gelo del cuore si sfa,
    e in petto ci scrosciano
    le loro canzoni
    le trombe d’oro della solarità.

 

  • Corno Inglese
    Il vento che stasera suona attento
    – ricorda un forte scotere di lame –
    gli strumenti dei fitti alberi e spazza
    l’orizzonte di rame
    dove strisce di luce si protendono
    come aquiloni al cielo che rimbomba
    (Nuvole in viaggio, chiari
    reami di lassù! D’alti Eldoradi
    malchiuse porte!)
    e il mare che scaglia a scaglia,
    livido, muta colore
    lancia a terra una tromba
    di schiume intorte;
    il vento che nasce e muore
    nell’ora che lenta s’annera
    suonasse te pure stasera
    scordato strumento,
    cuore.

 

  • Quasi una fantasia
    Raggiorna, lo presento
    da un albore di frusto
    argento alle pareti:
    lista un barlume le finestre chiuse.
    Torna l’avvenimento
    del sole e le diffuse
    voci, i consueti strepiti non porta.
    Perché? Penso ad un giorno d’incantesimo
    e delle giostre d’ore troppo uguali
    mi ripago. Traboccherà la forza
    che mi turgeva, incosciente mago,
    da grande tempo. Ora m’affaccerò,
    subisserò alte case, spogli viali.
    Avrò di contro un paese d’intatte nevi
    ma lievi come viste in un arazzo.
    Scivolerà dal cielo bioccoso un tardo raggio.
    Gremite d’invisibile luce selve e colline
    mi diranno l’elogio degl’ilari ritorni.
    Lieto leggerò i neri
    segni dei rami sul bianco
    come un essenziale alfabeto.
    Tutto il passato in un punto
    dinanzi mi sarà comparso.
    Non turberà suono alcuno
    quest’allegrezza solitaria.
    Filerà nell’aria
    o scenderà s’un paletto
    qualche galletto di marzo.

 

  • Falsetto
    Esterina, i vent’anni ti minacciano,
    grigiorosea nube
    che a poco a poco in sé ti chiude.
    Ciò intendi e non paventi.
    Sommersa ti vedremo
    nella fumea che il vento
    lacera o addensa, violento.
    Poi dal fiotto di cenere uscirai
    adusta più che mai,
    proteso a un’avventura più lontana
    l’intento viso che assembra
    l’arciera Diana.
    Salgono i venti autunni,
    t’avviluppano andate primavere;
    ecco per te rintocca
    un presagio nell’elisie sfere.
    Un suono non ti renda
    qual d’incrinata brocca
    percossa!; io prego sia
    per te concerto ineffabile
    di sonagliere.
    La dubbia dimane non t’impaura.
    Leggiadra ti distendi
    sullo scoglio lucente di sale
    e al sole bruci le membra.
    Ricordi la lucertola
    ferma sul masso brullo;
    te insidia giovinezza,
    quella il lacciòlo d’erba del fanciullo.
    L’acqua è la forza che ti tempra,
    nell’acqua ti ritrovi e ti rinnovi:
    noi ti pensiamo come un’alga, un ciottolo,
    come un’equorea creatura
    che la salsedine non intacca
    ma torna al lito più pura.
    Hai ben ragione tu! Non turbare
    di ubbie il sorridente presente.
    La tua gaiezza impegna già il futuro
    ed un crollar di spalle
    dirocca i fortilizi
    del tuo domani oscuro.
    T’alzi e t’avanzi sul ponticello
    esiguo, sopra il gorgo che stride:
    il tuo profilo s’incide
    contro uno sfondo di perla.
    Esiti a sommo del tremulo asse,
    poi ridi, e come spiccata da un vento
    t’abbatti fra le braccia
    del tuo divino amico che t’afferra.
    Ti guardiamo noi, della razza
    di chi rimane a terra.

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